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Adolescenza ’90: Gadget, Dilemmi e Posta del Cuore nel mondo di «Cioè»

Ma che ne sanno i 2000?

Ebbene sì, Cioè è ancora vivo e sopravvive nel mondo 2.0. Come?

La faccia enorme di Di Caprio giovanissimo che ti scruta sbarbato e ammiccante, Raul Bova appena uscito dall’acqua col ricciolo ribelle, i Take That nella classica posa da boyband.

Cioè siede sul trono delle letture della pubertà anni ’90. Non solo uno dei teen mag più famosi d’Italia (da ricordare anche altri giornalini come Top Girl e Pop’s), ma un vero e proprio format editoriale inedito nel nostro paese ad aver praticamente influenzato la formazione sentimentale (ma anche sessuale) di più di una generazione di ragazzine.

Cioè, termine intercalare spesso impiegato dai ragazzi, esce per la prima volta in Italia il 7 ottobre 1980 dalla mente geniale del fondatore Fabio Piscopo. Con Maurizio Costanzo che commentava i fotoromanzi e l’inserto L’Eco dei Sorcini di Renato Zero. Inoltre è stato il primo magazine a compiere la rivoluzione copernicana di infilare i gadget nel cellophane: il primissimo fu una gomma rosa a forma di cuore.

A fare la differenza tra il mare di riviste per adolescenti è il prodotto in sé, dove i contenuti son sempre scanzonati, celebrano i divi dei teenager e raccontano storie per spiegare in maniera molto semplice i drammi dell’adolescenza.

C’erano tutti i retroscena delle ragazze di Non è la Rai e di Beverly Hills, tanto quanto i consigli e le migliori tecniche di petting da sperimentare con i ragazzi. Chiacchiere, segreti e pettegolezzi di un mondo comunicativo estraneo agli adulti e ai genitori.

I capisaldi irrinunciabili: le COPERTINE ADESIVE da attaccare nel diario o nel Nokia 3410, i POSTERONI da cameretta, i GADGET tanto inutili quanto irrinunciabili (tra braccialetti, smalti, pochette, peluche, make up e le matite delle Spice Girls), i test per “scoprire veramente te stessa” e poi le DOMANDE DELLE LETTRICI, il vero pezzo forte di un mondo naif senza internet.

«Caro Cioè, se il mio ragazzo mi tiene per mano sulla strada di scuola posso restare incinta?»

«È possibile fare l’amore quando si è vergini?»

«È vero che per far crescere il seno bisogna mangiare molti funghi?»

Oggi nessuna ragazza dopo la scuola materna avrebbe dubbi del genere. Simili dilemmi amletici affidati ad anonime poste del cuore si mischiavano ai primi limoni e alle prime mestruazioni ed esorcizzavano terrori e paranoie adolescenziali allora insormontabili.

In un certo senso Cioè rispondeva come Yahoo Answer alle domande più banali dei teenager. Per queste ragioni non poteva rappresentare solo un semplice prodotto editoriale da sfogliare, con qualche consiglio su unghie e capelli e sorrisoni di attori famosi. Cioè rappresentava un settimanale irriverente e confidenziale, molti anni prima dei social network e di qualsiasi web influencer. Un giornaletto colorato che parla di sesso, che detta le mode dei teengers e che fa i nomi dei loro guru del cuore.

C’è da chiedersi che senso può avere «Cioè» per un millennial?

È il veicolo della società commerciale, assieme alla tv, per designare i Backstreet Boys e gli NSYNC i feticci dei diari di migliaia di ragazzine adoranti con gli occhi a cuore.

Cioè rappresenta anche l’innocenza perduta di una generazione ora adulta, quell’innocenza ad oggi spazzata da InstagramSnapchat e dalla velocità senza filtri dell’iperconnessione del web, pronta a rivelare tutto e di tutto con un solo click. Qualsiasi ruolo di intermediazione e informazione è venuto meno.

C’è da chiedersi che senso può avere Cioè per un millennial? I poster di carta, i braccialetti profumati, il voyerismo sui petti glabri della boyband del momento: come potrebbe mai competere tutto questo con la potenza dei social? Che ruolo potrebbe avere un simile giornalino che incarnava lo spirito tipicamente frivolo e gadgettaro degli anni ’90?

In realtà Cioè vive ancora (ora di proprietà della Panini), sostituendo Ambra Angiolini con i beniamini dei talent – Amici, X Factor, Italia’s got talent. Si sostituiscono Brad Pitt e Robbie Williams con lo youtuber o la web star di punta, ma l’estetica è rimasta la stessa, così come l’ideale di bellezza, imberbe, rassicurante e vagamente disneyano.

È un mondo trapiantato in un nuovo scenario che convive con Spotify, che collabora con Facebook, che vive in simbiosi con il web adottandone i linguaggi, mostrando i commenti ai post Instagram di Ariana Grande e consigliando i migliori canali YouTube da seguire per imparare a truccarsi.

Un nuovo “ipertesto” quasi multimediale o che quantomeno fa i conti con una nuova società dove i genitori sono chiamati a conoscere i One Direction e a smanettare per rimanere al passo con quella Rete che va più veloce di loro.