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Cocktails dall’anima Vintage

Immaginiamoci di essere nell’America inizio secolo, il governo da il via al proibizionismo, no alcool, no pornografia, insomma tutte cose che diciamo sono fuori dall’etica della società di quegli anni.

Una volta Humphrey Bogart disse “Non avrei mai dovuto passare dal whisky al Martini cocktail”.

Immaginiamoci di essere nell’America inizio secolo, il governo da il via al proibizionismo, no alcool, no pornografia, insomma tutte cose che diciamo sono fuori dall’etica della società di quegli anni. Soffermiamoci sull’alcol: niente sbronze, niente bicchierini e soprattutto basta buttare i soldi in bevande che alterano il nostro stato produttivo, perciò chi vuole bere qualcosa di alcolico resta con un pugno di mosche, o no?

E invece no, proprio come ad ogni azione corrispone una reazione uguale e contraria, così ad ogni divieto corrisponde la resistenza ad esso. Ed ecco che nasce la poetica del cocktail, certo certo, la prima guida al cocktail risale al 1862, The Bon Vivant’s Guide, or How to Mix Drinks, e indubbiamente spulciando nella storia si trovano connessioni con miscugli alcolici anche precedenti, ma il vero cardine attorno al quale ruota la composizione scientifica di bevande alcoliche create con rispettivi super alcolici è sicuramente la necessità di creare qualcosa di amabile con gin, rhum e altri liquori che potessero essere prodotti di nascosto durante il ventenni di negazione del proibizionismo. Se pensate a quante cantine smantellate con macchine fai da te per creare alcolici alla faccia della polizia, eppure proprio così nascono i cocktails.

La cosa divertente è che in seguito a questo incredibile periodo di propulsione alcolica clandestina, il cocktail si affina, i super acolici diventano più qualitativi ed esso diventa la bevanda favorita delle classi abbienti e conseguentemente il drink iconico di uno status altolocato.

E così il Martini fattosi sofisticato nel classico bicchiere accompagnato all’oliva (introdotta a quanto pare dal presidente Roosevelt) assieme ad altri celebri drinks, comincia a comparire anche sul grande schermo, decretando l’inizio dell’iconografia legata ai cocktails.

Non stupisce quindi che molti di essi siano associati a personaggi celebri, il daiquiri a Hemingway, il Bloody Mary a Orson WellesLiz Taylor e Richard Burton, o il Dry MartiniJack Kerouac, il Margarita e via dicendo. Alcuni cocktails poi sono diventati iconici per certi film e telefilm, il Martini per James BondCasablanca con il Champagne Cocktail, il White Angel di Colazione da Tiffany, il Manhattan in A qualcuno piace caldo, lo Screwdriver ne La febbre del sabato sera, per poi arrivare a film più vicini ai giorni nostri come Il grande Lebowsky e il suo White Russian, al Bloody Mary di Richie nei Tenenabum per poi approdare al celebre Cosmopolitan in Sex and the City o ai più fantasiosi Latte+ di Alex in Arancia Meccanica o il Wake Up Juice di Ritorno al Futuro III che risveglia anche i morti.

Il seguente è invece un’ottimo pezzo sui drinks del nostro ottimo cantautore nostrano, Vinicio Capossela.