RIVEDI L'EDIZIONE 2023

Ideato da

Il reportage sugli incontri del secondo giorno del Vintage Festival 2013: cos’hanno detto i nostri ospiti? Ecco i riassunti e i punti salienti.

MARIA LUISA FRISA

L’immaginazione è la chiave per entrare nel mondo di Maria Luisa Frisa, critica e fashion curator, direttrice del Corso di laurea in Design della moda e Arti multimediali all’Università Iuav di Venezia, e presidente di MISA, Associazione Italiana degli Studi di Moda.

Maria Luisa Frisa definisce il suo percorso di vita come insolito, frequenta a Firenze il liceo classico, abbandonandolo e avendo molto giovane un figlio, si ritira in campagna, per poi mettere, come si suol dire, la “testa a posto”: si laurea quindi a Storia dell’arte. Da quel momento comincia ad occuparsi di arte contemporanea «quando non era di moda come ora, quando ancora si parla di cultura underground intesa come critica militante, e il vintage era semplicemente abbigliamento “usato”».

Il negozio dell’usato degli anni ottanta aveva la stessa funzione di ora, collegato al tentativo di riattivazione del passato, ma il loro aspetto era molto diverso “oscuro, con forte odore acre” che le ricordano gli stracci di Dickens.

Il salto della moda avviene attraverso una proposta di Stefano Tonchi per collaborare una rivista indipendente, chiusa, ricorda dopo soli dieci anni, per mancanza di soldi.

Nel 2001 la prima mostra importante: “Uniforme, ordine, disordine.” «Ragionare sull’uniforme significa indagare sul momento storico in cui essa rappresenta un certo tipo di formalità, che durante le contestazioni degli anni ’70 viene prepotentemente negata. Quando mi hanno chiesto di lavorare a questa mostra ho detto subito di si, perché qualcuno mi chiede di fare qualcosa che non ho mai fatto dico sempre di sì».

E parlando di Vintage, M.L Frisa sentenzia: «il vintage ha che fare con la memoria, con l’immagine della nostra famiglia; guardate Emanuela Pavesi (fashion editor per Prada, n.d.r) nata da una ricca famiglia modenese ha ben presto compreso  l’importanza del del vestirsi con cura, a otto anni costrinse la mamma a comprarle tutto il guardaroba da Pucci. Ed io che sono stata a casa sua vi assicuro che casa sua è davvero una Caverna di Aladino».

Nella moda la cosa importante è l’immaginario da cui si prende a pieni mani; esempio: «guardate all’immaginario couture a cui Dior ha guardato: il cinema italiano, con questo trucco pesante, a Visconti alle sue “Vaghe stelle dell’orsa”, risiede qui la capacità di far circuitare il passato in modo che produca oggetti ogni volta desiderabili. Guardate Marras: quant’è ricca la componente emotiva/retorica/culturale nel suo modo di progettare, è questo il motivo del suo successo unilaterale».

Un altro po’ di pillole pronunciate da Maria Luisa Frisa:

  1. la moda non va giudicata, ciò che ti metti è un’altra cosa la moda va vista per la qualità del progetto
  2. Ognuno di noi ha un progetto vestimentario, bisogna solo surfare nel guardaroba
  3. La moda non è democratica, c’è bisogno di intelligenza.
  4. La moda non è comoda, odio i programmi in cui ti dicono cosa ti devi mettere, perché non si lavora sulla personalità ma su un idea piccolo borghese di buongusto.
  5. Azzardate un piccolo pizzico di cattivo gusto, una disarmonia intelligente.
  6. H&M ci ha insegnato il connubio Grandi Autori a prezzi abbordabili, operazioni (Versace for H&M, Lanvin, Marni ecc.) molto interessanti, che guardano alla moda con attenzione e la replicano in modo perfettamente attuale.
  7. Se ti vesti bene e ti piaci la tua giornata sarà sicuramente bella. E viceversa.
  8. La moda va letta come un elemento della nostra cultura visiva, non possiamo confinarla a mera produttrice di abiti.
  9. Nessuno a Milano è riuscito ancora a costruire un museo della moda. Questa è il grande gap che ha l’Italia, e che fa rimare la moda nello stallo in cui è. Guardate Anversa: è una capitale della moda perché è stato un progetto politico, perché ce ne era bisogno.
  10. Il concetto di made in italy va cambiato. Che cos’è l’Italia? solo luogo della produzione? l’Italia è l’unico posto in cui non si può dire “non si può fare”. Una volta il made in italy era la capacità di creare un prodotto di qualità in serie.
  11. Cose come la nascita di del blog Blonde Salad raccontano molto bene come funzionano le cose adesso, la popolarità di Chiara Ferragni o Anna dello Russo hanno a che fare con la capacità di iconocizzarsi ed è indicativa solo della libertà con cui è possibile accedere al trend. E non sono fashion icon, solo fashion victims.

BRUNO BOZZETTO

Mediatore dell’incontro: Stefano Tamiazzo, docente della Scuola Comix di Padova. L’appuntamento con Bruno Bozzetto, pioniere dell’animazione e della comunicazione pubblicitaria in Italia, comincia con un cortometraggio che rispecchia perfettamente le differenze tra passato e presente, come si corteggiava in passato e come ai giorni nostri si veicolano i messaggi, come venivano trattati gli animali domestici un tempo (come animali) e come vengono adorati e trattai come vere e proprie persone oggi.

Già solo guardando questo piccolo progetto si marcano le linee guida che Bruno Bozzetto (classe ’38 , ma con spirito di un ragazzino) ha seguito in tutta la sua carriera. Bozzetto ha raccontato in modo semplice e diretto come la sua famiglia lo ha sempre sostenuto, guidato e stimolato. Punto fondamentale per la crescita professionale di Bozzetto è infatti suo padre, un vero e proprio inventore che, attirato dal talento del figlio, ha costruito vere e proprie macchine da prese e sostenuto ogni sua idea.

E la voglia di creare, di sostenere e di fidarsi ereditata dal padre l’ha sua volta trasmessa ai figli che lavorano proprio nello studio di produzione creato dopo il successo ottenuto con il Sig. Rossi e il Carosello negli anni ’70 portando con loro le nuove tecnologie tanto care alle nuove generazioni. Vecchio e nuovo che si amalmagano per far proseguire un lavoro nato più di mezzo secolo fa.

Altro cardine imprescindibile sono le idee che spesso le grandi produzioni non hanno, la convinzione che si può fare tanto con poco. Che nonostante lui abbia fatto il liceo classico e non una scuola d’arte, tutte le sue storie hanno come punto fondamentale non il disegno ma la storia. Abbagliato dalla scuola disneyana Bozzetto è riuscito attraverso la sua sfaccettata carriera di portare anche in Italia la tradizione del cinema d’animazione e di lasciarne il segno.

Le frasi mitiche di Bruno :

«Con due linee si può fare una storia»

«In Pixar sono duecentomila, noi eravamo in quattro gatti»

«Una volta l’animatore doveva saper disegnare, adesso deve saper recitare»

«È la storia che conta, chissenefrega dei dettagli»

«E lei vero che ha inventato Terminator?» «Certo, nel tempo libero»

FRANCESCO MANDELLI

Per Francesco Mandelli, conduttore tv e radio, comico e autore, Mtv Uk rappresentava una novità, un fenomeno che condivideva, allora, con pochi altri suoi coetanei: «Era al tempo il YouTube degli anni ’90. Parliamo di un periodo precedente di Mtv Italia», un canale inglese che proponeva video musicali molto prima dell’exploit nostrano.

Dial Mtv era un appuntamento imperdibile per Francesco, non ancora Nongio. Trasmettevano i sei video richiesti dal pubblico, al tempo di Blur e Oasis. Poi un giorno Mandelli decide di marinare la scuola e partecipare a un casting per Mtv: stanno cercando comparse per il pubblico. Hanno bisogno di un “bravo ragazzo”, magro, con l’acne, che ascolta sempre quello che gli viene detto, per nulla trasgressivo.

Francesco si ritrova in quinta liceo a partecipare alla prima puntata di Tokusho, con Andrea Pezzi. In quella prima puntata Mandelli deve recitare un copione, ripetere delle battute. Alla seconda puntata Pezzi decide di togliergli il copione: «Tu vai già bene così». Era nato il Nongiovane.

Una carriera nata per puro caso. Così il Nongiovane entra a far parte di un team, in un rete giovane e sperimentale, com’era all’epoca Mtv Italia, senza paranoie degli ascolti, in un periodo pre-internettiano. Poi è cambiato tutto.

Con YouTube Mtv è diventato un altro canale. Non aveva più senso trasmettere videoclip musicali. Un tempo, in Italia, Mtv faceva vendere 5000 copie facendo passare una sola volta un video di una canzone. Ora è costretta a rincorrere la tv generalista, piegandosi a logiche e dinamiche che ne hanno determinato la sua decadenza.

«Il punto di rottura è stato la Canalis che presenta Trl. Mtv creava i personaggi, senza andarseli a prendere dalle altre reti, poi ha cominciato a fare Italia Uno. In quel momento è come se Mtv avesse perso la verginità»

Però la rete da una parte toglie, dall’altra dà. È il caso dei Soliti Idioti, un programma partito come format da terza serata, che non voleva essere popolare, ma violento, volgare e scorretto. Grazie al passaparola e alla viralità degli scatch su YouTube I Soliti Idioti godono di un inaspettato successo, da Mtv al grande schermo.

«Se dovessi dividere la mia carriera in Mtv in 5 fasi, abbinando a ciascuna di esse un pezzo?…

I primi tempi: Fuori dal tempo dei Bluvertigo, con un Morgan nel suo periodo pre-crack.

Nella fase di Mtv Mad e Mtv on the Beach: Last nite degli Strokes.

Tra il 2004-2006, Up the bucket dei Libertines.

Tra il 2006-2008, la musica dei dei Black Label Society.

E poi gli ultimi tre anni: qualcosa dei Black Keys (praticamente i Rolling Stones di adesso)»

Progetti per il futuro? Un nuovo dissacrante programma su un classico della letteratura italiana. La solita comicità, stile Soliti Idioti, insieme a Biggio. Il progetto è quello di continuare a ritrarre in modo implacabile e picaresco le macchiette italiane, i vizi e i difetti del nostro paese.

E poi, forse, Shakespeare a teatro: «Ce l’ha proposto un regista comico. Io e Biggio ci siamo guardati e senza neanche chiederci perché abbiamo detto sì»